Da Katmandu a Benares, passando per Los Angeles, Tokyo, New York, Londra e Parigi, le colorate tesserine montate a formare le oramai classiche e stilizzate ‘silhouettes’ degli ‘space invaders’ hanno fatto la loro comparsa – tra il 1998 ed oggi – in moltissime città e metropoli del pianeta. Un progetto artistico complesso, conformato come un vero e proprio reality game, sviluppato da un anonimo street-artist, ‘Invader’, che lasciando i suoi segni in forma d’astratto mosaico in giro per il mondo ha poi interamente raccolto i suoi interventi sul sito www.space-invaders.com, mappa cliccabile e ricca di documenti fotografici, indubbiamente intrigante per ambientazioni e scelte estetiche operate. Un bel video di ‘Invader’ in azione – quasi un compendio di tecniche ‘tagging’ avanzate – può essere visionato su Streetart Berlin Blog. Non è la padronanza – tuttavia – nell’uso di scale, collanti e piastrelle ad impressionarci, quanto piuttosto la fascinazione virale d’un estetica minima e pixelata, a conferma di quanto certe icone della civiltà elettronica siano ancora ‘povere’ ma immediate nei contenuti che trasmettono, archetipo d’età future e mondi possibili ma in definitiva futili e semplicisticamente allusive: giocattoli della nostra infanzia tecnologica che già ritornano nell’immaginario urbano.
