Oltre alle consuete e scadenzatissime recensioni musicali (breaks e fidget, principalmente), i post nella sezione ‘hype’ che compaiono su Wicked Style – lo devo ammettere – non sempre seguono un percorso lineare o una particolare logica. Ad esempio, in questo caso specifico, avevo iniziato a ricercare informazioni sui differenti trend che sono legati al clubbing e contigui ad immaginari sadomaso. Con mia somma sorpresa curiosando su certa ‘estetica latex’ mi sono imbattuto in una casa di moda virtuale, legata a Second Life, esempio d’una animosa operatività tutta italica. Nata il 1° aprile 2007, Pinco Janus è la principale firma del marchio Babele Fashion, attivo su Second Life con più punti di vendita, oltre al ‘Main Shop’ o negozio principale, ubicato nella ‘sciccosa’ location virtuale di Constantine. Lo stile di Pinco Janus è quello d’una donna ‘sensualmente spensierata’, allegra e pronta a cogliere il meglio che la quotidianità le offre. Vita di tutti i giorni che appare improntata a bustini e guepierre, abitini succinti e svolazzanti, lingerie ardite e pose sexy-carnevalesche. Immaginari che di volta in volta ammiccano agli stereotipi del gusto maschile più comunemente in voga e plausibili, modulando – a seconda delle occasioni – le equivoche ‘interpretazioni’, tutte femminili, tipiche della coniglietta, della playmate, della bella e giovane carcerata, della procace infermiera, dell’avvenente mafia girl o – addirittura – dell’olimpionica sporcacciona. La Babele Fashion – tuttavia – produce anche un abbigliamento più formale ed elegante, abiti da sera e da sposa, accessori, completi maschili, perfino arredamenti (sedie con la possibilità di selezionare la posa degli utilizzatori…), non soltanto – insomma – elaborazioni di pizzo e trasparenze per ‘depravati internettiani’. Quale sarà stata la molla – allora – che ha scatenato il ‘fastidio’ neonazista, sfociato in un attacco al main store di Babele Fashion il 7 febbraio di quest’anno? Non gli sono piaciuti alle ‘teste rasate’ i nuovi completini d’intimo per l’estate 2009, gli hanno provocato imbarazzo i costumi da bagno sui quali venivano associate le bandiere di Israele e della Palestina con la scritta ‘peace’, oppure si sono adirati per la poliziotta in minigonna e manganello? La psicologia dei militanti d’estrema destra – si sa – è incerta, lo spiegava bene Bifo in ‘Come si cura il nazi’, identità che risultano infine ‘confuse’ e pericolosamente inclini al peggio, mescolando aggressività nazionalista, razzismo, integralismo religioso e fanatismo dell’appartenenza. Anche se l’aggressione è stata solo ‘virtuale’ – in questo caso con l’utilizzo d’una grande quantità d’enormi cubi con l’effige animata di Hitler, dai quali venivano proiettati riquadri con scritte razziste – è logico supporre che l’effetto scenografico, per chi si è trovato nella zona al momento dell’attacco, debba essere stato piuttosto inquietante, accompagnato anche da un sonoro fortemente ritmato e iterato (pur se l’effetto di teste rotte – in altre decadi – viste dal vivo, e gli agguati sotto casa, dieci contro uno, forse erano peggio). Autore dell’azione è stato un avatar ‘giuggiolone’ ma cattivissimo, Gotcha Gant, apparentemente creato ad hoc per mascherare le tracce del reale autore dell’attacco. Il suo nome è stato immediatamente segnalato alla Linden in un dettagliato report abuse, oltre ad essere altrettanto ascritto ai posteri come una delle più ignominiose e futili ‘cazzate’ in fatto d’attivismo politico-ideologico.
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