Princess Hijab – Subvertising In Chador

Princess Hijab

Agitando – a Parigi – il plot che racconta d’una giovane donna araba che combatte ogni giorno per una nobile causa, un anonimo post-graffitista, prese le sembianze di Princess Hijab, si pone l’arduo compito di detournare soprattutto quei marchi, quelle griffe, che proprio agli immaginari dell’apparenza occidentale devono in gran parte la loro fama. Con il termine Hijab – infatti – si denota come nello specifico, qualsiasi velo posto dinanzi ad un essere o ad un oggetto, possa di fatto sottrarlo alla vista e isolarlo. Operazione, che senza bisogno alcuno d’ulteriori giri di parole, è resa esplicita in una sorta di terrorismo visuale, quando ad esempio le modelle dell’advertising dei Virgin Megastore vengono ricoperte in parte da un chador – dipinto sui pannelli – oppure quando in rappresentazioni di strada, similari silhouette di donne nero-vestite e mascherate, spiccano in atteggiamenti aggressivi, puntando contro i passanti armi da fuoco. Princess Hijab non si rapporta alle immagini – tuttavia – in maniera prettamente spettacolare, il suo mood è quello di operare velata e solitaria: di giorno avvolta da un chador bianco, simbolo di purezza e ideali solari, di notte ricoperta da veli neri, espressione d’una lotta anche vendicativa. Per mezzo di vernici spray e grossi pennarelli neri, persino Kate Moss e i modelli di Dolce & Gabbana sono “rimodulati” ad una “compostezza” di matrice neo-orientale. Una progettualità, quella dell’artista, chiaramente influenzata dai movimenti anti-consumerist, forgiata in un’astratta e controversa (ma comunque interessante) idealizzazione femminista, fondamentalista e islamica, risolta infine in davvero sottili provocazioni. Comunque – ma non ci sarebbe neanche bisogno di sottolinearlo – Princess Hijab non è coinvolta in nessuna lobby o movimento, siano essi politici, religiosi, oppure legati al business pubblicitario. Princess è un punk-maniaco insonne guerrilla-hacktivist che vivifica la sua “hijabizing” anche attraverso manipolazioni e interventi internetiani, seminale maestro d’un assai irrealistico movimento “collettivo”, improntato al subvertising e alla non-omologazione di segni, segnali e modus-operandi metropolitani.