Rennie Pilgrem – The Rich Rule Us

Rennie Pilgrem

12″ – Tcr
Sono mancati, nel corso d’una profonda crisi delle scene breakbeat – già in atto nello scorso anno – quegli interventi forti, da parte soprattutto dei big che in quei sommovimenti per primi avevano creduto e sviluppato i loro progetti. Arrivano adesso – quasi contemporaneamente – questo singolo di grandmasta Rennie Pilgrem, un altro singolo dei Drumattic Twins per Finger Lickin’ e il nuovo album di Lee Coombs, mentre anche Meat Katie, oramai lontanissimo dal genere, pure continua a sfornare produzioni, dando fondo alla sua vocazione a base maggiormente tecnoide e diritta. Avevano gridato tanto all’esaltazione d’un non-purismo breaks che alla fine sono stati accontentati, perché inseguendo riscontri maggiori hanno in parte perso quell’identità e quel poco che – fino ad allora – bene avevano consolidato. Fra quelli citati sembrano avere maggior respiro e sicure potenzialità proprio i progetti del primo transfugo, Meat Katie, qualitativamente eccellente adesso e con le idee assai chiare in materia di dancefloor elettronici. Chiaramente non si può imputare a Pilgrem mancanza di qualità, così come a nessuno dei seminali maestri nu skool, ma un pizzico di confusione, d’incertezza sulle strade da intraprendere, questo si è da rimarcare. Detto ciò vogliamo subito essere smentiti, anche perché l’uscita in questione è d’alto profilo: “The Rich Rule Us” esibisce elementi certamente evolutivi, stemperati tuttavia in pulsioni “live” che sembrano il punto d’arrivo di costumate confluenze breaks-rock, buone forse per esibizioni in grandi festival, ma che muoiono li, non producendo un effettivo rinnovamento stilistico. Del cespo, l’incisione da me preferita è il “Rennie Friction Mix”, potentemente cesellata in variazioni ritmiche e bassi trafelati, con ispirata mollezza groove a imbandire astratte derive sci-fi post-jazz. Anche il remix dei Bass Star Dos è efficace, se non fosse per i vocal troppo enfatici e di maniera (modelli d’un interpretazione femminile da epoche passate). Con quei vocal oggi, nelle piste non si entra, se non da contraltare sincopato ad un mainstream altrettanto stanco (cosa che effettivamente può capitare giusto negli States). Assai riuscita ci pare invece – per i suoi scopi – la versione intimista e da band obliqua dei Minuit, dall’esecuzione raffinata e piuttosto avvolgente. Abbiamo lasciato per ultima la versione dei BeatMonkeys, forse la più quadrata nel complesso, insistente entra-ed-esci di matrice dritta-storta che appare ai più – per adesso – la soluzione di ripiego, dai 128 ai 130 bpm massimo, per arringare ancora le piste. Perché di una cosa siamo certi, il breakbeat potrà anche finire domani, ma quell’attitudine ritmica al sincopato, bassoso e difforme, sopravviverà sempre e infonderà costantemente generi nuovi.