
Ho grande rispetto per i 3 Is A Crowd, meno per Wired Italia (la Novella 2000 dei new media), magazine patinato che sul suo sito ha dato in anteprima il video del combo milanese insieme a Dargen D’Amico e Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione. Che Albi, Froz e Giga già da tempo avessero preso le distanze dai loro primi successi di genere maximalista-fidgettaro è cosa risaputa fra i nostri lettori, posizione rispettabile e – va riconosciuto – presa in anticipo rispetto alla schiera dei molti altri che proprio in quegli stessi ambiti avevano raccimolato i primi successi per poi distaccarsi ed approdare non si sa dove. Questione annosa – a nostro avviso – quella della caratterizzazione di genere e della riconoscibilità d’un prodotto musicale, soprattutto in periodi di forte confusione e di sovrabbondanza di proposte. Per quella che è la nostra esperienza, noi non guardiamo ai confini delle scene come ad una sorta di gabbia dalla quale scappare al primo segno di stanca. Crediamo che la forza della produzione anglosassone – ad esempio – stia proprio nel perseverare e nel rendere visibili nel tempo le scene più significative che scaturiscono dall’underground. Grazie alla velocità e alla diffusione di Internet tutto ciò – naturalmente – oggi è messo a dura prova. Appena il vento gira tutti a far dichiarazioni d’eclettismo, tutti che vogliono trasformarsi in “artistoni”, pur se non si capisce bene da dove andare a tirare i fili del nuovo teatrino. Non ricordo che Picasso fosse limitato perché cubista e neanche che Godard fosse incline a perdite d’ispirazione in quanto esponente riconosciuto della Nouvelle Vague, ma tant’è… evviva sempre il nuovo corso se poi ha in sé una sua logica propositiva. Rimaniamo allora stretti sul prodotto, stiamo ai fatti: il video è ben realizzato e il tono dell’interpretazione nonostante certi accenti un poco “impegnati” può anche in definitiva risultare simpatico. Simpatico come un vecchio pezzo dei Subsonica, come certo nuovo rap italiano, simpatico come MTV, simpatico come Jovanotti e Radio Deejay. Qualcuno insinua che non a tutti queste cose citate risultano simpatiche? È un problema non nostro, perché è oramai evidente che mainstream ed underground in quanto forme “classiche” sono implose, è evidente che ogni cosa civetta con l’altra, è evidente che si parla di “arte” ma s’intende mercato. Esiste un mercato per questa roba? Evidentemente si, ma è un mercato differente – io credo – da quello del djing elettronico serio, da quello del remixing oltranzista, da quello della militanza clubbing così come l’abbiamo fino ad oggi conosciuta. Se poi tutto si riduce ai grossi eventi live estivi, lì va bene una cosa e l’altra, il pezzo commerciale che tutti riconoscono e il set più cattivo, fra divertentismo pop e pulsioni sperimentali sempre vivide. Per fortuna nostra al video farà seguito un nuovo act promozionale, gioco che sicuramente varrà la candela, perché il terzetto – siamo certi – dal vivo vorrà ancora convincere che le sue basi sono nell’ispirazione di strada più che (veleno) nelle ospitate sui network radiofonici nazionali, veicolo di comunicazione dal quale adesso davvero si può prescindere. Presi dalla tiritera pseudo-teorica appena terminata abbiamo praticamente dimenticato che nel nostro pack erano compresi rispettivamente anche i remix di Supabeatz e degli Useless Wooden Toys. Riuscito ed efficacissimo il primo che davvero vorremmo in una versione epurata dalle parti cantate, non male l’altro, calibrato in sequenze meticciate pulsanti e amichevoli.