Uber è una startup nordamericana che offre attraverso la sua applicazione software mobile un’iterazione fra passeggeri e autisti, in pratica offrendo un servizio taxi-navetta NCC (Noleggio Con Conducente) al fine di raggiungere la destinazione prescelta. Le auto possono essere prenotate con l’invio di un messaggio di testo o utilizzando l’apposita applicazione mobile. Tramite quest’ultima i clienti possono anche tenere traccia in tempo reale della posizione dell’auto prenotata. L’applicazione venne lanciata ufficialmente a San Francisco nel 2010 e successivamente la società ha progressivamente ampliato la copertura del servizio in altre città, fino a diventare assai utilizzata in moltissime metropoli anche al di fuori degli Stati Uniti. Inutile è dire che in tutte le città nelle quali il servizio è funzionante si è sollevata alta la protesta dei tassisti autorizzati, che hanno organizzato scioperi e dato vita a presidi informativi. Uber chiaramente difende il suo business e lo fa utilizzando quelle che sono le stesse tiritere e apologie tipiche dei discorsi sull’innovazione tecnologica. I tassisti difendono la protesta con i soliti triti argomenti del sindacalismo corporativo e nei casi più intelligenti sottolineando le garanzie di un servizio consolidato e organizzato. Nel frattempo il valore di quella che è diventata una vera e propria compagnia è arrivato a una valutazione di 18,2 miliardi di dollari. La miscela d’interessi e la centralità di una questione fortemente metropolitana come quella della mobilità – uniti ai bisogni dei fruitori ultimi di questi servizi – sono diventate materia esplosiva. La diffusione degli smartphone e l’essere perennemente connessi a una rete globale oramai scardina le regole ed è conseguente che siano apparse realtà di questo tipo, anche se per alcuni questo viola altri regolamenti e i diritti acquisiti dai lavoratori inseriti in quei contesti secondo le tradizionali procedure. Secondo i tassisti quelli di Uber aggirerebbero le rigide regolamentazioni sul trasporto di persone, forzando le normative partendo da inediti e controversi presupposti, posizionandosi sul mercato in condizioni di favore rispetto a chi già opera sul territorio in maniera strutturata. Uber a sua volta non si lascia intimidire e risponde agli scioperi con ulteriori sconti, invitando tutti – particolarmente nei giorni delle proteste – a provare la funzionalità dei propri servizi. In questa fase a fronteggiarsi sono i limiti dell’attuale mercato dei trasporti urbani, sindacalismo e corporativismo, incalzati da nuove forme di organizzazione del lavoro, più contemporanee, tecnologiche ma anche aleatorie e privatistiche. L’unico a rimetterci per ora è il consumatore? Non lo darei per scontato, perché la strada di fatto si autoregola in presenza di queste alternative e non sarà facile – a meno di interventi legislativi a senso unico – arginare la diffusione di questa e di analoghe iniziative (pensiamo ad esempio ai servizi di condivisione delle spese in tema di viaggi automobilistici più lunghi). È la sharing economy baby – verrebbe da dire – che dalle pagine dei libri sulle nuove pratiche d’imprenditoria legate al digitale deborda nel quotidiano. Quando il mondo cambia lo fa senza troppi preamboli e ci ritroveremo ben presto a ricordarci di quando c’era la concorrenza fra tassisti e primi abusivi digitali, così come oggi ricordiamo quei primordi di pirateria, quando i vu cumprà vendevano per strada cd e programmi piratati. Nel frattempo s’avanza anche UberPop, un nuovo servizio di Uber che permette a chiunque di registrarsi come autista e usare un veicolo privato per trasportare clienti. Mentre nei normali servizi di Uber le auto sono guidate da possessori di licenza NCC, con quest’ultima implementazione – invece – è possibile al massimo assicurare un servizio molto simile a quelli di car pooling, attività spesso messa in opera con auto che non sono affatto nuovissime e curate. Gli autisti in questo caso non sono neanche professionisti e il problema dell’assicurazione verso terzi – in molti casi – potrebbe creare non pochi problemi e controversie legali. Avverte il Guardian – non a caso – che “nella loro esuberanza a proposito della next big thing si trascura la realtà che il nuovo modello di business della sharing economy si basa ampiamente sull’eludere i regolamenti vigenti e infrangere la legge”. Mao diceva che quando grande è la confusione sotto il cielo la situazione è eccellente: forse in questo caso non è proprio così ma intanto qualcosa si muove.
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