A marchio Tresor Records è la volta di resuscitare gli Scan 7, o meglio, il loro album di debutto, Dark Territory, comprensivo di otto tracce, delle quali due mixate da Blake Baxter. Dicono nelle note della casa discografica che “la pazienza è una virtù ben ricompensata nella techno… trovare il groove giusto su cui costruire e poi mantenere i nervi saldi abbastanza a lungo da ripagare l’attesa al momento ottimale è un’impresa molto più abile di quanto sembri per uno stile così minimalista”. Niente di più vero e la pazienza è anche aspettare tanto tempo, dal 1996, per questa ristampa, che naturalmente è stata anche rimasterizzata e suona ancora meglio di prima (ci scusino i puristi). L’album è un concentrato dei primi esperimenti del collettivo, una pietra miliare della techno di Detroit che non ha perso un grammo della sua visionaria potenza. Il disco si apre con “Planet Energy”, un brano che già dal titolo suggerisce l’ampiezza delle ambizioni del progetto: creare paesaggi sonori che trascendono i confini terrestri. La produzione di Trackmaster Lou si distingue per la sua capacità di bilanciare minimalismo e complessità ritmica, creando tensione attraverso sottili variazioni e stratificazioni sonore. Le due tracce mixate da Blake Baxter, “Black Highway” e “Unusual Channel”, portano l’inconfondibile tocco di uno dei maestri della scena di Detroit. Baxter arricchisce il sound originale con la sua caratteristica sensibilità per il groove, aggiungendo profondità e movimento alle strutture ritmiche di base. “Dark Universe” e “Beyond Sound” rappresentano il cuore concettuale dell’album, esplorando territori sonori che sembrano provenire da dimensioni parallele. Il minimalismo qui non è mai fine a se stesso, ma serve a costruire gradualmente atmosfere ipnotiche che si evolvono con pazienza matematica. “Dark Corridor” e “VII” mostrano invece il lato più sperimentale del progetto, con pattern ritmici che si intersecano creando complesse trame sonore e la title track “Dark Territory” chiude l’album in modo magistrale, sintetizzando tutte le istanze esplorate. Una nuova veste grafica aggiorna l’estetica del progetto mantenendone intatto lo spirito futuristico e ciò che colpisce, riascoltando questo album oggi, è quanto fossero avanti rispetto a quei tempi. Le parole profetiche di Trackmaster Lou nelle note di copertina originali (“spero che apprezzerete i miei dischi nel futuro a venire”) si sono rivelate quanto mai autoavveranti. “Dark Territory” non suona come un reperto storico, ma come un progetto che continua a dialogare con il presente della musica elettronica. La riedizione di “Dark Territory” non è quindi una semplice operazione nostalgia, ma la meritata celebrazione di un album che ha contribuito a definire l’estetica della techno contemporanea, dimostrando come certi esperimenti sonori non invecchino mai.