Noumen – Altum

Alla Central Processing Unit di Sheffield è la volta del producer e dj ucraino Andriy Vezdenko, aka Noumen, artista cresciuto all’ombra delle scuole elettroniche più sperimentali degli anni novanta e ancora oggi diviso fra differenti pulsioni, non ascrivibili a un solo genere. Sulla Central Processing Unit, Noumen ha già pubblicato un EP nel 2017, White Silence, nonché, sempre nello stesso anno, l’album Apeiron e nel 2019 Obscurium. Adesso con Altum sono complessivamente tredici le nuove tracce che vedono la luce, altrettanto distintive, originali e inventive rispetto alle precedenti. L’album si apre con “Oion”, lunga suite che mette subito in chiaro l’approccio esplorativo dell’autore: una costruzione stratificata e fluida, dove le geometrie ritmiche si dissolvono e si riformano in continuazione, lasciando emergere timbri obliqui e cadenze che sembrano respirare autonomamente. L’elettronica di Noumen è infatti tutto fuorché lineare: tende a espandersi in direzioni impreviste, a costruire percorsi che ricordano più un flusso di pensiero che una sequenza di brani. In Altum questo metodo trova una forma compiuta, capace di unire complessità strutturale e senso melodico, tecnologia e sensibilità quasi organica. In brani come “Splitter” o “Centrip” la propensione per l’intreccio ritmico si traduce in traiettorie IDM precise ma mai rigide, dove i dettagli digitali e i micro-intervalli acustici convivono in un equilibrio costantemente in bilico. “Telemask” e “Axis”, pur con sezioni ritmiche ancora marcate, virano verso paesaggi più rarefatti, carichi di una tensione sospesa, come se le frequenze stesse respirassero. In “Awe” e “Fate Carette” riaffiora invece quella poetica del disorientamento che da sempre accompagna il progetto: un modo di intendere la composizione come frammento, eco o rifrazione, più che come progressione lineare. Nel complesso Altum rappresenta una sintesi matura e profonda del percorso di Noumen: un album che trascende le convenzioni dell’elettronica d’ascolto e del glitch astratto, trasformando le strutture digitali in materia viva, pulsante e sensibile. È un viaggio dentro l’idea stessa di forma sonora, dove ogni frammento pare interrogarsi sulla propria natura, oscillando tra introspezione e rigore, tra enigma e rivelazione.

 

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